La Legge ,il film girato a Carpino, Raccolta del materiale by Crono

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Crono88
view post Posted on 9/11/2008, 19:48




La legge (ITALIA),La loi (FRANCIA), Where the Hot Wind Blows!(USA),The Law (UK),La Ley (SPAGNA),U Procepu (YUGOSLAVIA)


Voce su wikipedia



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Un film di Jules Dassin,tratto dal romanzo di Roger Vailland.
Genere : Drammatico/Commedia,
Bianco e nero
Durata: 126 min / UK:114 min / West Germany:105 min / Spain:115 min / USA:114 min / Argentina:121 min
Anno : 1958,1960 USA
Produzione : JACQUES BAR PER CITE' FILM (PARIGI), MALENO MALENOTTI PER GE.SI CINEMATOGRAFICA (ROMA)
Autori della fotografia: Corbeau, Roger
Emetteur : SAP59
Crédit photo : Donation Roger Corbeau, Ministère de la culture (Médiathèque de l'architecture et du patrimoine) Diffusion RMN
N° tirage : 9129t0426A
Technique tirage : Epreuve gélatino-argentique ; papier baryté
Format tirage : 241x304
Observations phototype : Légende rédigée par le photographe
Distribuzione : TITANUS

Luogo : Carpino ,altre riprese nel resto del Gargano
Attori : Gina Lollobrigida Nel ruolo di Marietta, Pierre Brasseur Nel ruolo di Don Cesare, Marcello Mastroianni Nel ruolo di Enrico, l'agronomo Yves Montand Nel ruolo di Matteo Brigante, Melina Mercouri Nel ruolo di Lucrezia, moglie di Don Cesare ,Raf Mattioli Nel ruolo di Francesco, figlio di Matteo Vittorio Caprioli Nel ruolo di Il commissario, Lydia Alfonsi Nel ruolo di Giuseppina, Gianrico Tedeschi Nel ruolo di Il disoccupato ,Nino Vingelli Nel ruolo di Pizzaccio, Paolo Stoppa Nel ruolo di Tonio, Bruno Carotenuto Nel ruolo di Balbo ,Anna Maria Bottini Nel ruolo di Maria ,Edda Soligo Nel ruolo di Giulia, Anna Arena Nel ruolo di Moglie del commissario Joe ,Dassin Nel ruolo di Altro disoccupato, Marcello Giorda Nel ruolo di Parroco ,Luisa Rivelli Nel ruolo di Elvira Herbert ,Knippemberg Nel ruolo di Turista svizzero ,Teddy Billis Nel ruolo di Giudice, Alessandro Franco Pesce Nel ruolo di Sonny, Barbieri Nel ruolo di
Sceneggiatore Diego, Fabbri Françoise, Giroud Jules, Dassin
Musiche Roman, Vlad
Scenografia Robert, Giordani

Trama
Dal romanzo (1957) di Roger Vailland: in un villaggio corso (nell'edizione francese e nel romanzo, in Puglia) molti maschi sbavano dietro a Marietta, bella e aizzosa vergine. Chi vincerà? La legge è quella che i forti e i furbi impongono ai deboli e agli sciocchi. Da Vailland il film ha ereditato i difetti e nessuna delle qualità: è un'opera informe, goffa, verbosa. Discutibili anche gli attori tra cui spicca, però, V. Caprioli.
In un villaggio della Corsica è in uso un gioco, chiamato: 'il gioco della legge'. Si tratta di questo: nella bettola, davanti ad un boccale, si sceglie un capo, il quale, finché il vino non è consumato, ha il diritto di dire agli altri le più scottanti verità o malignità sul loro conto. Chi è preso di mira non ha il diritto di protestare. Analogamente in paese vige, al di sopra dell'autorità costituita, una legge cui tutti si sottomettono senza potervi sfuggire. Chi fa la legge è un vecchio signorotto, Don Cesare, che vive in un ampia casa circondato da uno sciame di donne. E' tra queste Marietta, figlia e nipote di servitori di Don Cesare. E' una ragazza giovanissima, energica, sensuale, prepotente, che s'innamora di un giovane agronomo, venuto dal continente, e per poterlo sposare ruba a un turista il portafoglio con cinquecentomila franchi. Un altro prepotente che vuole lui pure fare la legge, Matteo Brigante, cerca invano di sedurre Marietta e questa, per vendicarsi, lo sfregia e gli infila in tasca, vuoto, il portafoglio rubato, cosicché Matteo Brigante è accusato di furto. Mentre vuole comandare su gli altri, Matteo non riesce a far la legge in casa propria. Suo figlio Francesco s'innamora di Donna Lucrezia, la moglie del giudice: il padre fa in modo che la relazione sia troncata ma non può impedire che il figlio se ne vada di casa e che la donna finisca per uccidersi. Intanto per il vecchio Don Cesare s'avvicina la fine, ma prima di morire, egli scagiona Matteo Brigante, obbliga Marietta a restituire il denaro rubato e la nomina sua erede universale. Ella potrà quindi sposare l'agronomo.

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Critica

1. 22 Marzo, ore 16. Accendo casualmente la radio nella mia contusa, logora Seicento. Freno di colpo, urtando il marciapiede. Qualcuno parla di Roma. Un'ode, un carme alla città delle città: ed è la voce dell'autore, Enzio Cetrangolo, che sta dicendo: “Per l'ultimo silenzio l'ombra ferma / contende al Palatino il primo suono / del giorno. Quale auspicio riconoscere / che figuri alla mente il tempo estinto, / le forme di terrene primavere / cadute nei confusi adeguamenti / delle cose? D'impronte non s'appaga / la memoria. Deserta si ripete / la distanza dei secoli dall'ombra / al sole: opere nate a superare / la luce, che rimanda le reliquie / della nostra presenza. Ma sul colle, / dove un lituo segnò gli eterei limiti / il tempio descrivendo al sacro volo, / toglie di noi qualcosa alla rovina / la lusinga dell'alba quando il giro / celeste in sé riprende alberi e pietre”. Qui una pausa. Interrogano il poeta. Come nacque l'opera? E Cetrangolo spiega. Da anni il Foro Romano gli era consueto, vi abitava, quegli insigni ruderi gli facevano compagnia, quasi erano le propaggini del suo tavolino e delle sue carte, ma nulla gli suggerivano. Finché un giorno, uscito eccezionalmente di casa all'alba (una partenza) vide quelle antiche pietre nel momento in cui le prime fioche luci vi tramavano i loro diafani sortilegi. Il seme di un alto, commosso dialogo, scese dal cuore del poeta come dal becco di un uccello fluente sull'ultima brezza notturna. E dopo qualche mese, Roma fu scritta. Cetrangolo ne recita ancora un brano (di classica bellezza) e la trasmissione, curata per il “Secondo Programma” da Massimo Alvaro (figlio dell'insostituibile Corrado mancatoci or non è molto) finisce. Madonna aiutaci. Il Secondo Programma! Ah Fulvio Palmieri, posso ringraziarti? Nella ridda, nella baraonda, nel caos dei Tony Dallara e delle Mina, tu riesci ad insinuare poeti come Cetrangolo e poesie come Roma, che inchiodano la mia Seicento al marciapiede e mi divorano. Fulvio, caro Fulvio, tu davvero “togli di noi qualcosa alla rovina”.
Bene, e dove correvo nel pomeriggio del 22 marzo scorso? A vedere La legge, un film che Jules Dassin ha ricavato dall'omonimo romanzo di Roger Vailland. Questo libro, al quale toccò non rammento quale famoso premio letterario di Francia, ha raggiunto in pochi mesi l'ottava ristampa qui da noi, per i tipi dell'editore Parenti. Sfido. Contiene: a) un satrapo ottantenne e luetico; b) un “mammasantissima” perennemente armato di coltello e dedito soprattutto alle nubili; e) una venere diciassettenne in riffa; d) altre femmine senza impegni che non siano quelli di soffiare nei tizzoni dei propri (scusatemi) grembi; e) uomini di minor conto (“ mulignanelle” dei trascorsi e delle orge) che hanno relazioni intime con le capre; f) vino e ubbriachezza; g) accidia, sole e vomito; h) furti, sfregi e fustigazioni; i) sconcezze varie; l) la “legge”, ossia un giuoco di taverna che a Napoli si chiama il “tuocco” e a Roma la “passatella”. Buona idea. Il romanzo del Vailland si svolge a Porto Manacore, nelle Puglie. Vi rifulgono espressioni come: “Nel Mezzogiorno d'Italia, dove le donne sono tanto pili desiderate quanto più s'avvicinano a partorire,” o come: “Nuda sotto il grembiule... i seni erano due limoni, le natiche due melegrane,” o come: “Dal crepuscolo fino all'alba non fecero che prendersi, con un piacere ineguagliabile” (Vailland, munito di una lavagnetta, sommava... è uno dei più validi compiti del romanziere éngagé) e ha se non erro persuaso e incantato i nostri maggiori critici letterari, senza incorrere nel broncio di nessun parroco e di nessun codice. Arte? Cenci di “verismo”, intinti nella meraviglia di una penna talmente ignara delle faccende nostre da ravvisare nel “tuocco” (oggi, peraltro, negletto) substrati, echi e trascendenze profondi. Il giuoco della “legge” (non so proprio se abbia questo nome, a Porto Manacore) Vailland lo pone, dilatandolo, a fondamento, a regola di una società meridionale. Uffa. Don Roger, e lasciatevi servire. Qua il Sud è molto più complicato e semplice di quanto non abbia immaginato la vostra cubitale inesperienza. C'è qualche lettore francese che mi faccia conoscere, sul romanzo e sul film chiamati La legge, i giudizi del critico di Arts, che mi pare abbia nome Trouffaut, e che disse corna, a suo tempo, dell'Oro di Napoli? Forse Vailland è l'aedo, il vate, della sua nullità boulevardière. Fu un episodio bizzarro, lasciate che ve lo riveli. Nella stessa colonna di Arts piena di quelle randellate per me, la Direzione del periodico avvertiva: “Non siamo d'accordo. A noi L'oro di Napoli è molto piaciuto”. E che fece il Trouffaut? Si licenziò magari? Neanche per sogno. Vige ancora in Arts. La sua fierezza è, come la giubba di un clochard assopito nell'ascella di un ponte della Senna, tutta un rammendo.
Jules Dassin ha qua e là ritoccato, e ha spesso migliorato, nel suo film, il romanzo. Temendo la censura italiana, egli ha mutato Porto Manacore in un paesetto della Corsica. Una panoramica, non immemore di quella usata da Rene Clair per avviare Sous les toits de Paris, comincia la narrazione. Appaiono anzitutto (mentre in sottofondo la voce di Marietta, la sinuosa venere diciassettenne, vedi elenco al capoverso c, modula una viscerale nenia), i “disoccupati” in piazza: straccioni d'ogni età stremati dal sole e dall'inerzia, i quali dicono a un piccione: “Hai fior di ali, tu... perché non te ne vai di qui?..”. e una fatidica risposta del gallinaceo potrebbe essere: “Bravi... ma chi, allora, vi getterebbe addosso il mio sterco?” Avanti. Ecco il giudice Alessandro, malarico, giallognolo, e sua moglie Lucrezia. Sui trentacinque, bionda, inappagata, madida fino alle ossa di noia coniugale (ai brividi, alla febbre del marito s'addice soltanto il chinino), questa ennesima Bovary è pazza di un giovincello, Francesco Brigante, il quale studia legge ed ha il babbo che vi dirò. Avanti. Ecco la finestra del commissario Attilio: ha una moglie, Anna, ma fruga in ogni angolo buio l'amica di famiglia Giuseppina. Avanti. Ecco la finestra di don Cesare, l'anziano pascià (vedi l'elenco, lettera a) della zona. In lui si mescolano, friggendo in una teglia di “panzarottaro” ambulante, motivi dannunziani e motivi zoliani. Don Cesare non ha vissuto e non vive (nel feudo suo) che di anfore e statue greche (ogni tanto i suoi beceri ne dissotterrano qualcuna in palude), nonché di caccia e d'amore. In che senso, amore? Serve e contadine erano e sono come di leva, nel suo morbido letto. Ne ha intorno due generazioni, se è per questo: Giulia, sui cinquanta, e perciò giubilata; Maria, ventottenne, deposta e quindi maritata al servo Tonio; la ventiquattrenne Elvira, momentaneamente in funzione; e Marietta, che gli influssi lunari stanno arrotondando e levigando per lui. Frattanto l'agronomo Ezio, venuto dal nord, vorrebbe la fanciulla come sguattera: ma lei rifiuta e don Cesare non le dà torto. Indoviniamo, però, che Marietta ed Ezio (Gina Lollobrigida e Marcello Mastroianni!) sono carne e sangue di copione e finiranno indissolubilmente uniti. Siamo agli sgoccioli, avanti. Ecco Matteo Brigante, il babbo di Francesco. È il “guappo” locale visto da un parigino, e cioè specializzato in deflorazioni. Ovviamente, fa la posta a Marietta. Ma chi non lo imita? La ragazza è come un ampio missionario fra i cannibali: preghiamo, in ginocchio, per lei.
Dal giuoco della “legge” (o “tuocco”, o “passatella”) Vailland e Dassin traggono una cupa simbologia. Lo conoscete, il giuoco? I beoni si quotano per un fiasco di vino, poi sorteggiano un “padrone” che mesce a chi vuole e un “sottopadrone” che approva o boccia la scelta. È un giuoco a dispetto, inventato per accrescere, negli uomini, le antipatie le invidie i rancori latenti. Non hanno soltanto il diritto di acuire la sete dei compagni, il “padrone” e il “sottopadrone”, ma anche quello di schernirli, di umiliarli, di ingiuriarli. E le vittime, questa è la norma, debbono subire, finché la sorte volubile non li promuova, a loro volta, carnefici. Mi spiego? A Vailland è parso che ciò equivalesse, fra i quattro nebbiosi muri di una bettola, al nostro comune dramma sotto il cielo; ha detto: sembra un giuoco, ed è la vita. Nel mondo prevalgono i forti, i cinici, i fortunati. Che abbacinante scoperta, mannaggia. Senza la “passatella”, non avremmo dubbi sull'immancabile trionfo dei buoni. Grazie, Vailland; proteggici, illuminaci tu.
Il ritratto del villaggio corso, ex Porto Manacore, Dassin lo traccia vigorosamente. Marietta deruba uno svizzero di passaggio, cinquecentomila franchi, vuole una dote per assicurarsi l'agronomo, e non sgarra. L'Attila delle minorenni, il fosco Matteo, è, mediante uno sfregio, neutralizzato dalla ragazza. La fuga di Lucrezia e di Francesco, impedita all'ultimo istante da Matteo, si conclude in tragedia. Che mano pesante ha avuto qui Dassin. Matteo conduce Lucrezia nel suo piedatterra, le dice: “Mio figlio è acerbo, assaggia un vero uomo, bella mia” e la spoglia. Lei finge di starci... ma d'improvviso corre alla finestra e vola giù. Questa scena l'ha ideata il regista, non figura nel romanzo: ed io, nei panni del Vailland, l'avrei ricacciata in gola a chiunque. Pazienza. Don Cesare, attinto da una paralisi, vuole accanto a sé Marietta. Egli la scagiona del furto, e le regala i suoi beni. Mirabile esempio di coerenza, il ciclopico vecchio muore sfiorando, con le ultime dita sensibili che gli rimangono, il seno di lei; non è un uomo, don Cesare, è il Pantheon dell'ormone maschile: un personaggio, tutto sommato, più retorico e appassito di un “alle guagnele” o di un “eziandio “.
Brani eccellenti: il ballo rustico in piazza, con quella specie di roulette la cui pallina è un coniglio vivo; la “legge” nell'osteria, quel cerchio di volti abbrutiti, simili (eccedo?) a vuote e luride tasche rovesciate; la pesca in mare col trabucco, quando Francesco attende Lucrezia; il duello galante nella capanna, fra Marietta e Matteo, lui che appunta due banconote al muro e lei che gli sputa in faccia; il passaggio di Matteo sfregiato davanti ai paesani che non fiatano; le percosse di Brigante al figlio, nella corriera; Marietta quando abbassa le palpebre a don Cesare defunto (ma poteva abbottonarsi la camicetta ed era lo stesso). Quanto mi duole, peraltro, che Gina Lollobrigida abbia confermato di nuovo le mie più nere previsioni. Datemi il coraggio (l'ho e non l'ho) di ripeterle che non fu, non è e non sarà mai l'attrice che vaneggia di essere. Non c'è Dassin che tenga: Gina ci porge anche qui l'eterna “bersagliera”. È una pezzente dell'espressione. Qualunque sentimento scivola su di lei come acqua sull'acqua. Uno scultoreo don Cesare dobbiamo a Pierre Brasseur. Ineccepibile, sanguigno, tagliente il Matteo di Yves Montand. Bell'attore; ne avessimo qui. Raf Mattioli ha dato a Francesco tutta la freschezza necessaria. Vittorio Caprioli è il commissario. Puerile, scentrato Marcello Mastroianni come agronomo lombardo. Lombardo? Si porta dietro la Garbatella come una gobba. Quanto a Paolo Stoppa (Tonfo), è ricaduto nell'esagitazione e nell'isterismo; doppiatelo, ha inghiottito una raspa. Abbiamo infine, con Vincelli (Pizzaccio, lo sgherro di Matteo) i toni e le smorfie della “sceneggiata”. Misura, Vincelli, misura: comperi un litro, un chilo e un metro... li tenga ogni notte sul cuore.
Da Giuseppe Marotta, Visti e perduti, Milano, Bompiani, 1960

2. La loi di Roger Vailland, malgrado il Premio Goncourt e il gran discutere che se ne fece a suo tempo, non è , come ormai tutti sanno, un grande romanzo, ma un’opera costruita a freddo, con una intelligenza acuta e un po’ astratta, che aduna in un lucido e sicuro organismo narrativo una vasta galleria di personaggi e di temi contraddittori unificati dietro la lente deformante di un erotismo ossessivo ed esasperato. Porto Manacore, l’immaginario paese del Gargano, e il Sud in genere sono poi una semplice occasione intellettuale e narrativa e la rappresentazione che ne vien data ci risulta falsa ed estranea. Eppure c’è un motivo, nel romanzo, che deve aver colpito sul vivo l’intelligenza e la fantasia di Jules Dassin: il tema appunto della “legge”, l’aspro e crudele gioco da osteria che consente ai favoriti dalla sorte, il padrone e il sottopadrone, di scegliersi una vittima costretta a tollerare immobile e muta, secondo una fondamentale regola del gioco, ogni sorta di insinuazioni, calunnie, oltraggi e soprusi.
Naturalmente il gioco, che dà il titolo al romanzo e al film, vuole avere in entrambi un significato più vasto e profondo, un riscontro più generale sul piano della vita associata e del costume, sino ad abbracciare una intera condizione. Un motivo suggestivo e suscettibile di fecondi sviluppi per Dassin le cui opere, da Forza bruta a Rififi, sono percorse da quella carica esplosiva che nasce dal sentire, in termini drammatici, il contrasto e l’irriducibilità fra i potenti e gli umiliati e offesi, fra i vincoli e le costrizioni di una comunità autoritaria e rigidamente gerarchizzata e l’erompere prepotente di un nuovo modo di intendere e praticare la vita, della spinta verso un assetto più giusto e umano. È il motivo che ha trovato la sua espressione più alta in quel film di largo respiro narrativo e di netto rilievo drammatico che è Colui che deve morire. E Dassin ribadiva ancora una volta la sua fedeltà e coerenza al proprio mondo di sentimenti e di idee quando, ai tempi della sceneggiatura de La legge, precisava: “Il tema fondamentale del film sarà la lotta fra il presente che vuole spingersi verso il passato, e il futuro che vuole affermare le proprie rivendicazioni”.
Tuttavia, a film realizzato, bisogna pur dire francamente che quel tema appare incerto, sfocato, disperso anzi in una narrazione a cui mancano proprio una chiara e salda idea direttrice e una interna e sicura coerenza. Dassin non si è fermato a Vailland, anzi ha tentato di sottrarre i personaggi del romanzo agli angusti orizzonti di ossessione erotica, di gretta e mortificata umanità, di progressivo e inesorabile fallimento che li avvolgono e li unificano. E questo è indubbiamente l’aspetto più interessante del film, quello che scopre il senso del lavoro intrapreso da Dassin: le varianti introdotte rispetto al romanzo non sono di indole puramente narrativa, ma di sostanza, tendono a orientare la natura e gli sviluppi dei personaggi in una direzione diversa e sovente opposta, a conferire loro un rilievo e un significato più precisi e circostanziati, a coglierne l’evoluzione in una dinamica che non vuole essere più soltanto vitale, ma di sentimenti e di idee, dialettica insomma.
Così Marietta non si associa più a Matteo Brigante, il capo mafia, per gestire insieme i loro interessi C “fare la legge” al paese, ma dice di non volere più servi e fruste nella sua casa e sposa l’agronomo, un personaggio che acquista nel film un’importanza maggiore e un significato più attivo che non nel romanzo; donna Lucrezia, di fronte alla delusione provata dinanzi al giovane e inetto Francesco, non va a finire, come le mogli di tutti i notabili del paese, nell’appartamento del commissario Attilio, ma sceglie il suicidio, con uno di quegli scatti beffardi consueti agli eroi di Dassin; Francesco Brigante si sottrae definitivamente alla amorevole e insidiosa tirannia del padre. Si potrebbe proseguire a lungo in questo discorso, per indicare come Dassin non abbia accettato il clima morale in cui si agitano inutilmente i personaggi di Vailland e abbia tentato dì conferire loro un’intonazione più ricca, anche se apparentemente meno complessa, per farne i protagonisti di una storia realistica, di una narrazione internamente tesa dal conflitto fra il vecchio e il nuovo. E tuttavia questa volta Dassin ha mancato il segno perché, se il punto d’approdo dei suoi personaggi è diverso rispetto a Vailland, le premesse e lo sfondo delle loro azioni, le spinte morali che li orientano, i temi stessi del loro conflitto, il volto insomma del vecchio e del nuovo, sono assenti e, quando ci sono, risultano troppo facili, troppo esteriori. Manca lo sfondo concreto dei loro pensieri e delle loro azioni, il contesto di civiltà in cui essi dovrebbero maturare, il paesaggio realistico da cui dovrebbe scattare la molla delle loro risentite reazioni. Così come si ricercherebbero invano il respiro corale e il vigoroso mordente ideologico che si ritrovano sempre nei film migliori di Dassin.
Una tale provvisorietà e assenza di implicazioni ulteriori, di più larghe risonanze è all’origine della storia d’amore di Marietta e dell’agronomo: il volto e le movenze della Lollobrigida sono quelli di una delle tante bersagliere e pizzaiole delle nostre commedie strapaesane di questi ultimi anni, e l’agronomo ha qualche cosa di anacronistico, di didascalico, quasi di giacosiano, in quella sua mentalità. Così solidamente e angustamente quadrata. Matteo Brigante è un mafioso assai più dominato dall’ossessione del sesso che dalle preoccupazioni di capo di un potere paralegale e pur vincolante e decisivo: i suoi rapporti col potere ufficiale, col commissario Attilio a esempio, sono appena accennati. Don Cesare non è più l’ultimo nobile signore della antica città di Una, l’“uomo di qualità” di Vailland, ma non è neppure un altro e diverso personaggio e solo nel finale sembra trovare una sua dignitosa fermezza. L’amore di donna Lucrezia e di Francesco non matura più nel quadro delle aspirazioni e delle letture stendhaliane della donna, come in Vailland, ma è tratteggiato a grandi e generiche linee. Il mondo di coloro che fanno una certa legge (il commissario Attilio, il giudice Alessandro) è tenuto in ombra, ridotti i personaggi a figurine macchiettistiche e senza rilievo. A tratti emergono certe intuizioni nitide e precise (la rassegnata sottomissione dei disoccupati sulla Piazza Grande, la loro aspirazione ad andarsene, le irruzioni beffarde e spavalde dei guaglioni), ma vengono subito tralasciate senza svolgimenti e approfondite individuazioni.
Ne risulta un’opera discontinua e affrettata, di una certa fluidità narrativa, ma sempre a mezzo, in incerto e precario equilibrio, fra improvvisi e impreveduti scatti drammatici e il ritmo esteriormente mosso e agitato di una commedia cinematografica in panni pseudorealistici. La sequenza più tesa e stringata, e anche la più unitaria e compatta, ci è parsa quella del gioco della legge nell’osteria; nel sorriso di Brigante abbiamo ritrovato per un momento la premeditata ferocia, l’acre compiacimento degli oppressori di Dassin. Per il resto, il grande tema del vecchio e del nuovo, è sommerso da un affollarsi di gratuite storie individuali, di annotazioni generiche, di episodiche velleità senza un centro che unifichi il tutto e gli dia un senso netto e preciso. Certo una battuta d’arresto, una grossa concessione, e non sappiamo fino a qual punto voluta, dopo il vigoroso approdo realistico e la chiarezza ideale di Colui che deve morire.
Da Cinema Novo, 1958

3. "I risultati, per quanto artificiosamente forzati (...) conducono ad un panorama del tutto sbagliato: il paese degli uomini paghi, inetti e immeritevoli. Questo non è il dramma del nostro Sud. E Dassin, che sa come la pianta dell'ingiustizia e della sopraffazione alligni su tutte le terre, dovrebbe ammettere che la si combatte strappando radici diverse a seconda del paese in cui si trova." (T. Ranieri, "Bianco e Nero" 1/2, gennaio/febbraio 1960)


Extra

1. Usi e costumi del Gargano degli anni '50 del secolo scorso nella cronaca di un film, "La Legge" di Jule Dassin.
Nel giugno 1956, uno scrittore in piena crisi ideologica trascorreva le sue vacanze nel Gargano, cercando la solitudine e la pace; nel giugno 1957, un romanzo di ambiente italiano "La Loi" compariva nelle librerie parigine; nel giugno 1958, Jule Dassin dava il primo giro di manovella al film che era stato tratto dal libro. Interpreti del film sono Gina Lollobrigida, Pierre Brasseur, Marcello Mastroianni, Melina Mercouri, Yves Montand e Paolo Stoppa. Il luogo principale in cui viene girato il il film è Piazza del Popolo di Carpino. Un paese a disposizione della troupe. Ecco la cronaca di quei giorni a cura di Luciano Perugia.
Articolo a cura di Antonio Basile
"strano, ma le fatiche dell'organizzazione, a film finito, assumono, nella retrospettiva del ricordo, un tono clairiano, come se quell'entità composita e pittoresca che è la troupe si muovesse al ritmo accelerato di 16 fotogrammi al secondo. Gli esterni nel Gargano, per esempio. Arrivammo a Carpino per caso, Dassin ed io, durante il primo sopralluogo in Puglia: la piazza, movimentata e un po' squallida, senza nessuna civetteria, era piaciuta a Dassin. Per lo più, la disponibilità delle case e la loro abitabilità da parte dei personaggi corrispondeva alle esigenze del copione, anche se alcuni ritocchi architettonici erano necessari. Tutto perfetto, tutto a posto. A questo punto, invece, la produzione si trova ad una specie di anno zero.
Complesso abitazione del giudice, del commissario, commissariato e prigioni : occorreva parlamentare con gli inquilini di tutto lo stabile, soprattutto con quelli del primo piano, che dovevano prestarci una camera e permettere che le bocche di lupo della prigione levassero ogni luce al resto dell'appartamento. Si trattava di due vecchie signorine, che da quindici anni non erano più uscite di casa. Non avevano mai visto un film, ed il loro drastico isolamento dal mondo era interrotto soltanto dalle visite del parroco. Come io sia riuscito a convincerle non so ancora. Ricordo il loro salotto buono, invaso da pizzi e fiori finti, consolle e abatjours, cuscini 1926 dipinti a Pierrot inespressivi, falsi arazzi con le vedute del Vesuvio, un rosolio densissimo e sciropposo, ed io, che continuavo a parlare, sicuro che le due figurette nero-vestite e silenti non comprendessero neppure una parole. Non dissero niente. Avevano capito? Potenza del cinema : avevano capito.
Mi mandarono il parroco : rifiutavano i compensi, ma volevano che il cinematografo - eravamo noi - si adoperasse "per il bene della chiesa". In breve, che ne restaurassimo il portale. Oggi il portale della cattedrale di Carpino ha ritrovato l'eleganza delle sue decorazioni barocco minore, opera paziente degli operai della troupe. Si rimetteva a nuovo il portale, e si costruivano le bocche di lupo e l'ascensore per il primo carrello de La legge. Non potevo attraversare la piazza senza che le due vecchiette, ormai con la coscienza esultante, non mi mandassero a chiamare per offrirmi il rosolio. Occorrevano due caffe e un sigaro toscano per togliermene il gusto dolciastro dalla bocca: ma loro erano convinte di aver trovato un intenditore.
Arrivo uno degli architetti, Pasquale Romano. Ignaro, si recà subito dalle due anziane signorine. E queste, impacciate, lo ricevettero nell'unico cerimoniale che conoscevano : ossequiosi baciamani segni di croce e rosolio a volontà . Romano, allibito, fortunatamente tacque. Ma il peggio doveva ancora venire. Si doveva arredare il commissariato : - "questa è la stanza - gli dissero le due vecchiette - faccia tutto quello che vuole. Ma il letto dove è morta nostra madre, quello non si puà ne toccare ne spostare". Il letto in questione - una specie di Moby Dick dei letti matrimoniali dell'ottocento in ferro battuto - era piazzato esattamente davanti alla finestra, e nessuna angolazione avrebbe potuto evitarlo. Un letto dentro un commissariato ! Romano tacque anche di fronte a questa angelica imposizione. Il solido archivio che occupa buona parte del commissariato non induca gli spettatori a pensare ad una iper-attività criminosa delle genti del luogo : fu l'unica - e aggiungo anche, ottima soluzione per coprire il letto tabù, intoccabile come un apria indiano.
Quindici anni di segregazione sono molti, anche se dedicati ad un intensa fabbricazione di rosolio. Non passarono de mesi, e le due anziane signorine persero l'abitudine al silenzio e all'isolamento : operai sempre per casa, rumore, confusione, due finestre tappate per mesi, tutto questo giovò loro in maniera inaspettata. Una sera - ma già erano iniziate le riprese - le incontrai in piazza, tutte allegre e alle prese con due coni di gelati.
La gente ha una strana idea del cinema e del suo miracolismo economico. Oltre tutto la storia del portale fece colpo, e si diffuse ai quattro venti. Un giorno mi si pararono davanti tra assessori di un comune che non nominerà. Il termometro segnava i 40° gradi all'ombra, ma i tre erano correttamente vestiti di scurissimi e pesantissimi panni di circostanza. Motivo della visita : il bilancio del loro comune era in deficit, quindi eravamo invitati a risanarlo. Tanto per noi, a sentir loro, cinque milioni erano una bazzecola. Se ne andarono via offesi. Fenomeno di ingenuità , non lo nego.
Ma il caso si ripeté quasi identico per la faccenda del vespasiano.
Chi ha pratica dei piccoli centri di provincia, sa cosa conti l'orgogliosa esibizione di un semaforo. Inutile, puramente decorativo, il semaforo sta ad indicare una specie di maggiorità cittadina. Nel Gargano, come ebbi a scoprire, i semafori erano sostituiti in questa funzione simbolica dai vespasiani. E Carpino non ne aveva neppure uno. Da anni gli abitanti si rodevano il fegato, pensando a quelli di Rodi, o di Sannicandro o di San Severo. Lo spirito di campanile suggerì loro una grande trovata. Vennero da noi, seri, computi, cerimoniosi. Avevano preparato tutto : preventivi, disegni, progetti : per un impianto a quattro post - il loro ideale -, a tre, e, alla peggio, anche a due. Noi dovevamo sovvenzionare l'iniziativa; loro in cambio avrebbero aggiunto una enorme lapide, a grandezza di monumento, con gli imperituri grazie della popolazione a Dassin, a Brasseur, a Mastroianni, a Montand, a Stoppa ed a mi. I nomi femminili erano stati esclusi per un comprensivo delicatissimo senso del pudore.
Ho accennato a questi episodi tra i tanti, perché mi sembra rivelino il clima che circonda il nostro lavoro : un clima mitico, che non facilitava certo le cose. E le difficoltà erano molte, ma accresciute e sensibilizzate da mille ostacoli, piccoli e grandi.
Era come se non girassimo a 400 km da Roma ma a 4000 km, urtando di continuo contro la mentalità chiusa e diffidente, ed usi e costumi di mezzo secolo prima. Per la sequenza del ballo, ci rivolgemmo alle ragazze che, immobili, restavano per ore ad osservare con sconfinata ammirazione Gina Lollobrigida. Eravamo sicuri di chiamarle a nozze. Rifiutarono : si sarebbero compromesse a ballare in pubblico con sconosciuti. Una di loro, la più vivace, ci offrì il destro per aggirare il problema : "vengo se il ballerino è mio fratello". Fratelli, cugini, zii e perfino genitori funsero quella sera da cavalieri. Per la stessa sequenza, ci rivolgemmo ai notabili del luogo. Ci risposero con un no collettivo. Non si sarebbero mescolati con la plebe. Più tardi, attraverso messi di fiducia, ci mandarono ad avvertire che avrebbero acconsentito ma ad un patto : paga doppia, e che la cosa fosse risaputa. Insomma, volevano mantenere le distanze : e come far capire a certa gente che i generici sono generici, e le comparse sono comparse, ai fini della ricompensa ? Ne andava del loro onore. Alla fine, partendo da Carpino, andai a salutare le due vecchie signorine, e mi rassegnai all'ultimo rosolio. Mi parve che se lo meritassero, perché, in fondo avevano rivelato uno spirito di collaborazione esemplare.

2. La memoria di Carpino e del Gargano - Roman Vlad tra i ricercatori che si sono occupati delle musiche del Gargano
Nel giugno 1956, uno scrittore in piena crisi ideologica trascorreva le sue vacanze nel Gargano, cercando la solitudine e la pace; nel giugno 1957, un romanzo di ambiente italiano "La Loi" compariva nelle librerie parigine; nel giugno 1958, Jules Dassin dava il primo giro di manovella al film che era stato tratto dal film. Interpreti del film sono Gina Lollobrigida, Pierre Brasseur, Marcello Mastroianni, Melina Mercouri, Yves Montand e Paolo Stoppa. Il luogo principale in cui viene girato il il film è Piazza del Popolo di Carpino.
In questi giorni (dicembre 2005) siamo venuti in possesso di un testo curato da Cecilia Mangini - La legge / di Jules Dassin ; a cura di Cecilia Mangini - Dal soggetto al film ; 11 Tratto dal romanzo [La loi] di Roger Vailland, Sceneggiatura di Françoise Giraud e Diego Fabbri, In copertina: Il romanzo di Roger Vailland e la nuova storia di Dassin, un paese a disposizione della "troupe" - in cui è presente un'intervista che potrebbe modificare la sequenza e l'elenco dei ricercatori che furono a Carpino e sul Gargano e che pertanto possono essere in possesso o possono essere d'aiuto al mondo accademico per l'individuazione di uno dei rari materiali sonori e video raccolto quando la televisione non aveva ancora contaminato completamente le tradizioni musicali dei nostri territori.
L'intervistato in questione nel raccontarci le difficoltà nella realizzazione delle musiche del film "La loi" di Jules Dassin afferma "In tutti questi paesi, radunavamo la sera, sulla piazza o in qualche casa, dei giovani e dei vecchi disposti a farci sentire i canti che sapevano". "Tornai con ore di musica registrata della quale mi sarei poi ampiamente servito come della più preziosa e autentica fonte d'ispirazione".
Come sappiamo molti sono gli studiosi che si sono recati nelle nostre terre per scopi più o meno nobili, in questo caso stiamo parlando del periodo 1957/1958 e di un grande maestro, Roman Vlad.
Abbiamo contattato il maestro, che, gentilissimo, ci ha richiamato per telefono una domenica pomeriggio di questo autunno.
La telefonata è durata quasi un'ora, durante la quale Roman Vlad, emozionato e stupito della nostra trovata, ci ha raccontato di aneddoti, persone e paesaggi pieni di bellezza e schiettezza, di suoni, di sogni e di fatiche spesso indescrivibili e della veridicità di quanto riportato nell'intervista della Mangini.
Prima di chiamarmi, il maestro aveva già lavorato per noi cercato di recuperare il materiale.
Non era più in suo possesso e man mano che, pieno di gioia, per telefono ci parlava, gli venivano in mente quei lontani giorni a più di 40° gradi all'ombra e di quelle serate trascorse ad ascoltare e vedere danzare le musiche folkloristiche da giovani e anziani rigorosamente maschi.
Roman Vlad intraprese sul Gargano tre viaggi e la troupe di Dassin rimasse a Carpino per circa due mesi.
Secondo il maestro le musiche dovrebbero essere in possesso della Gite film - Monica film (dalle nostre informazioni risulta che le Musiche furono di Roman Vlad dirette da Marc Lanjean, il Fonico fu William R. Sivel, i Direttori di produzione sono stati Baccio Bandini - Luciano Perugia - Walter Rupp e la Produzione è quella di Maleno Malenotti e Jacquer Bar per la GESI cinematografia, la Titanus spa- Roma e Le Groupe des Quatres - Paris) due editori uno francese e uno italiano - e non si tratterebbe di solo materiale sonoro, ma anche video, anche se non raccolto per scopi scientifici nei territori di Carpino, Ischitella, Peschici, Rodi Garganico e Monte Sant'Angelo.
Questo vuole essere l'ennesimo grido di dolore per fare appello a tutti coloro che possono farlo di provvedere al recupero di questo materiale, anche perché ormai sono passati quasi 50 anni e le loro condizioni sicuramente necessitano di un urgente restauro.








Locandine e copertine

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qui grande:
http://img206.imageshack.us/img206/3889/sicure5in9.jpg


Fotografie durante le riprese

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www.culture.gouv.fr/Wave/image/memo...129t0426a_p.jpg
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qui grande
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qui grande:
http://img129.imageshack.us/img129/8480/sicureqv8.jpg

Edited by Crono88 - 13/1/2010, 20:24
 
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Crono88
view post Posted on 9/11/2008, 20:09




Video





Se avete altro materiale scrivetelo qui,cerco la versione italiana del film dato che ho solo quella francese
 
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trattino
view post Posted on 10/11/2008, 13:59




Ottimo lavoro
 
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Crono88
view post Posted on 10/11/2008, 18:45




grazie...credo di esser stato il primo a raccogliere tutto
 
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Uriatinon
view post Posted on 15/11/2008, 21:20




Bravissimo, Crono!
io ho trovato una lunga recensione di Alfredo Petrucci al romanzo di Vaillard "La Lois".


 
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Crono88
view post Posted on 15/11/2008, 21:34




dove?sulla rete?
 
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Uriatinon
view post Posted on 15/11/2008, 22:42




CITAZIONE (Crono88 @ 15/11/2008, 21:34)
dove?sulla rete?

No, su un libro di Alfredo Petrucci.
Ma devo fotografare le pagine o scansirle.
Sono INTERESSANTISSIME E CRITICISSIME. :)
 
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savio56
view post Posted on 21/11/2008, 11:43




Crono raccogli tutto e stipa che forse ad Agosto qualcosa si farà (spero)
 
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tevion
view post Posted on 23/1/2009, 14:14




CIAO , RAGAZZI !!! HO TROVATO UNA VHS CASSETTA ,CON LA REGISTRAZIONE DEL FILM " LA LEGGE" AVETE INTERESSE ? SALUTI
 
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trattino
view post Posted on 23/1/2009, 15:37




Ciao Tevion
se di ottima fattura ed in italiano e la masterizzi sarei interessato.
 
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Crono88
view post Posted on 23/1/2009, 18:35




anche io sono interessato...
 
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savio56
view post Posted on 23/1/2009, 18:39




ragazzi ..io HO IL DVD SI VEDE E SI SENTE BENE PERO' NON RIESCO A DUPLICARLO EVIDENTEMENTE E' STATO FATTO IN MODO DA NON POTER DUPLICARE.
SE QUALCUNO SA' COME FARE IO SONO QUI
 
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trattino
view post Posted on 23/1/2009, 18:40




s po fa, s po fa....
 
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Crono88
view post Posted on 23/1/2009, 18:42




sicuramente non è bloccato....appost me
 
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savio56
view post Posted on 23/1/2009, 18:52




JE CAPIT MA CON JEJA FA'???????
SE LU VULIT FA VUJ A SANT ROC LU DUC
VA BON A QUISCJ'?

MA CI SIAMO SOLO NOI?
AVETE NOTATO LO SCRITTO IN DIALETTO?
 
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26 replies since 9/11/2008, 19:36   3769 views
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